Il termine meat sounding potrà suonare come qualcosa di sconosciuto, ma in realtà fa riferimento ad un fenomeno che incontriamo ogni giorno. Quante volte infatti abbiamo sentito parlare di “hamburger vegetariano” o di prodotti simili? Così tante che ci siamo quasi abituati a considerare questa denominazione come normale. Ma si tratta in realtà di una maniera ingannevole di chiamare i prodotti che poi andiamo a mettere sulle nostre tavole. Andiamo a vedere insieme in cosa consiste precisamente questo fenomeno e quali sono le normative in materia.
Per meat sounding intendiamo la promozione e vendita di prodotti vegetariani o vegani con nomi che richiamano materie prime diverse. La carne, per essere più specifici. Negli ultimi anni abbiamo sentito sempre più parlare di hamburger vegetali, salsicce vegane e tanti altri esempi simili. Molti prodotti di origine vegetale sono stati infatti presentati con nomi che appartengono ad altri alimenti a base di carne. Tuttavia, questa denominazione deve farci porre qualche interrogativo sulla sua legittimità. Dobbiamo infatti metterci nei panni del consumatore a cui vengono presentati questi alimenti e a come potrebbe reagire nei loro confronti.
Il problema del meat sounding sta nel rischio di confusione per il consumatore finale del prodotto. Dal punto di vista delle strategie di marketing sicuramente si tratta di una strategia vincente, perché permette di associare questi alimenti a dei prodotti già noti. Magari si stimola pure la curiosità del consumatore, che vuole provare una nuova alternativa ai prodotti classici. Tuttavia, ricorrere al meat sounding può significare confondere il consumatore finale, facendogli credere di comprare un prodotto simile alla carne.
Il problema sta proprio nel fatto che questi prodotti hanno poco a che vedere con quelli tradizionali. Se pensiamo infatti alle caratteristiche nutrizionali, ingredienti diversi danno al nostro corpo sostanze nutritive diverse. Non solo, ad una certa denominazione tendiamo ad associare degli specifici metodi di produzione e luoghi di provenienza. Per questo, un consumatore che legge sulla confezione “hamburger vegetale” potrebbe pensare che quel prodotto presenta le stesse caratteristiche di un hamburger classico, quando invece non è così. Proprio a proposito di hamburger avevamo già citato il problema della finta carne, e quanto alcuni prodotti contenessero ingredienti non proprio salutari per il nostro corpo. La questione fondamentale è che un prodotto di origine vegetale non potrà mai contenere le stesse sostanze di uno a base di carne. E i consumatori non dovrebbero mai essere spinti a pensarlo.
Proprio per questi aspetti controversi, molti esponenti del settore agroalimentare hanno iniziato a chiedere delle normative più chiare in materia di meat sounding. Una battaglia che spesso è andata di pari passo con quella per una corretta informazione in materia di allevamento e produzione di carne. La questione è complessa e richiede delle normative specifiche, e proprio per questa è arrivata in Parlamento Europeo.
La Corte di Giustizia si era già espressa su un tema simile nel 2017, quando una sentenza aveva vietato l’uso di termini come “latte”, “formaggio” o “burro” per indicare prodotti di origine vegetale. Proprio basandosi su questa sentenza, alcuni eurodeputati (tra cui l’italiano Paolo De Castro) hanno chiesto di introdurre delle normative specifiche anche per il meat sounding. Le normative sono state proposte in un emendamento adottato dalla Commissione Agricoltura nell’aprile del 2019. I lavori sono stati però rallentati dal fatto che ci sono state nuove elezioni, che hanno portato a un cambiamento di vedute. Molte associazioni di categoria hanno ribadito l’importanza di una legge chiara in materia, soprattutto in un periodo in cui il settore agroalimentare si è trovato anche ad affrontare la crisi dell’emergenza Covid.
Nell’attesa di una decisione a livello europeo, c’è stato un paese che ha deciso di intervenire in materia. Si tratta della Francia. Nel maggio del 2020 il governo francese ha infatti approvato un disegno di legge con lo scopo di rendere trasparenti le informazioni sui prodotti alimentari. L’obiettivo è proprio quello di evitare che i consumatori siano tratti in inganno dai nomi usati in modo improprio. Se altri paesi seguissero questa linea, l’Unione Europea potrebbe essere nuovamente chiamata a intervenire chiaramente in materia.
Il Parlamento Europeo si è espresso infatti di recente, respingendo gli emendamenti al mittente. Nello specifico, è stata bloccata la modifica alla legge che bloccava l’utilizzo di termini come “bistecca” o “salsiccia” per indicare alternative vegetali. Non solo, la discussione è stata riaperta anche per quanto riguarda i prodotti caseari, bloccando l’emendamento anche per questo caso. La decisione ha ovviamente creato scontento tra gli allevatori. Tante associazioni italiane, tra cui Coldiretti, spingono adesso per seguire l’esempio francese con una normativa a livello nazionale.
La questione chiave è che ci vuole chiarezza nei confronti del consumatore che deve essere consapevole di cosa si appresta ad acquistare. Noi di Accademia Macelleria Italiana ribadiamo ancora una volta la necessità di far attenzione agli ingredienti dei prodotti che si comprano. E quando possibile, vi consigliamo di non ricorrere ad alimenti che alla carne somigliano soltanto, preferendo il classico hamburger o la classica fettina del macellaio di fiducia.
A presto,
Enrico Conti