1. Il caso mandorle: l’inferno delle api in California
2. Avocado e ambiente: è davvero un alimento sostenibile?
3. Il macellaio e la filiera corta: un modello da rivalutare
4. Conclusione: consapevolezza, non ideologia
Nell’immaginario collettivo, il mondo vegano viene spesso associato a uno stile di vita sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Rinunciare alla carne, al latte vaccino e ai derivati animali sembrerebbe la scelta più ecologica. Ma è davvero così? Quando si guarda più da vicino la filiera di alcuni alimenti simbolo della dieta vegana come le mandorle, l’avocado o il latte vegetale, emergono dati sorprendenti: questi prodotti, apparentemente “green”, nascondono un impatto ambientale tutt’altro che trascurabile.

La California produce circa l’80% delle mandorle mondiali. La coltivazione intensiva di mandorle in questa regione, diventata una vera monocultura, richiede l’impollinazione artificiale di miliardi di fiori ogni anno. Per farlo, ogni primavera vengono trasportate da ogni angolo degli Stati Uniti circa 2 milioni di colonie di api.
Le api vengono spostate su camion, sottoposte a stress, esposte a pesticidi e parassiti, e spesso muoiono a milioni nel giro di poche settimane.
Uno studio pubblicato dal San Francisco Chronicle nel 2024 ha riportato perdite di oltre il 60% delle colonie coinvolte nella sola stagione dell’impollinazione delle mandorle. Si stima che ogni anno muoiano centinaia di milioni di api a causa di questa pratica.
Il paradosso? Molti consumatori di latte di mandorla scelgono questo prodotto proprio per “salvare gli animali”.
Per produrre un solo litro di latte di mandorla servono circa 371 litri di acqua.
In un contesto come quello della California, soggetto a siccità cronica, è un problema serio. Le coltivazioni di mandorle contribuiscono anche all’inquinamento delle falde acquifere a causa dell’uso intensivo di fertilizzanti chimici e pesticidi.
Secondo un’inchiesta di FoodUnfolded, il territorio californiano ha visto ridursi drasticamente la biodiversità agricola proprio a causa della monocultura delle mandorle.
Inoltre, gran parte della produzione viene esportata, contribuendo ulteriormente all’inquinamento legato al trasporto internazionale.
Dipende dai parametri che si considerano.
Se guardiamo solo alle emissioni di CO₂, il latte vaccino ha un’impronta più elevata rispetto a quello vegetale. Tuttavia, quando si considera l’uso di acqua e l’impatto sulla biodiversità, il latte di mandorla può risultare molto più dannoso.
Il latte di mandorla è spesso prodotto in zone a forte stress idrico, come la California, e contribuisce alla morte di milioni di api ogni anno. Il latte vaccino, se proveniente da allevamenti locali e sostenibili, può avere un impatto più basso rispetto a molti latti vegetali industriali.
Non esiste una risposta unica: bisogna considerare la provenienza, il metodo di produzione e il contesto.
Ogni primavera, migliaia di camion trasportano alveari da tutta l’America verso la Central Valley californiana. Questo spostamento massivo stressa le api e le espone a malattie.
Durante il periodo di impollinazione, le api entrano in contatto con neonicotinoidi e altri pesticidi altamente tossici.
Molte muoiono per avvelenamento, altre tornano agli alveari infettate da parassiti come la Varroa. Alcune aziende di apicoltura industriale hanno registrato perdite del 50-70% delle colonie coinvolte.
Chi consuma latte di mandorla ha spesso la percezione di una scelta etica, ma raramente conosce questo impatto devastante.

Altro prodotto di punta della dieta vegana è l’avocado. La sua coltivazione è diventata talmente redditizia da essere definita “oro verde”. Ma a che prezzo?
In Messico, in Cile e in Perù, intere foreste vengono abbattute per fare spazio a nuove piantagioni. Inoltre, l’avocado è una pianta ad altissimo consumo idrico: in media, servono oltre 2.000 litri d’acqua per produrre un solo chilo di avocado.
Il trasporto avviene spesso per via aerea o via nave refrigerata, aggiungendo al conto ambientale una quantità enorme di CO₂. Secondo The Sustainability Project, due soli avocado possono generare fino a 850 grammi di CO₂ tra produzione e trasporto.
Quindi no, l’avocado non è sempre un alimento sostenibile. Dipende da dove viene coltivato, con quali metodi e con quali mezzi viene trasportato.
Questo ci porta a un punto spesso ignorato nel dibattito sull’alimentazione sostenibile: non è solo “cosa mangiamo” a fare la differenza, ma come viene prodotto e chi lo produce.
Il macellaio tradizionale, che lavora con animali allevati localmente, riduce lo spreco alimentare sfruttando ogni parte dell’animale: dal muso alla coda. Sa scegliere, consigliare e valorizzare tagli meno conosciuti ma gustosi, evitando di trasformare tutto in macinato.
Questo approccio non solo è più sostenibile, ma combatte anche la logica dello spreco. In più, la figura del macellaio rappresenta una memoria culturale e gastronomica che rischiamo di perdere.
C’è un modo sostenibile di mangiare carne? Sì: scegliendo carne da allevamenti locali, etici, con pascolo, filiera corta e senza sprechi. Privilegiando tagli meno richiesti, si valorizza l’intero animale e si riduce l’impatto ambientale complessivo.
Il punto non è demonizzare chi segue una dieta vegetale, ma smettere di credere che sia per definizione più ecologica o più etica.